Gavirate

Chiostro di Voltorre

Il Chiostro di Voltorre in Gavirate, proprietà della Provincia di Varese dalla fine degli anni Settanta, è situato lungo una delle direttrici di penetrazione tra il nord Europa e il Contado del Seprio, verso Milano.

Nel Medioevo il Chiostro era cuore di un complesso monastico fiorente, avamposto nelle Prealpi della riforma benedettina promossa da Guglielmo da Volpiano, fondatore della potente Abbazia di Fruttuaria, da cui Voltorre dipendeva nel XII secolo. Le prime notizie sull’esistenza dell’ecclesia Vulturni risalgono, infatti, a un privilegio pontificio rilasciato nel 1154 all’Abbazia di San Benigno di Fruttuaria, nonostante la chiesa, dedicata a San Michele – il cui culto era largamente diffuso nel Medioevo, grazie all’impulso impresso dalla devozione longobarda – fosse stata sicuramente edificata in epoca precedente. Una recente campagna archeologica ha infatti individuato quanto resta delle fondamenta di due absidi, databili rispettivamente al V e VI secolo, sulle cui rovine fu edificata la chiesa romanica, risalente alla fine dell’XI secolo. Di dimensioni ridotte, è composta di una sola navata, con abside semicircolare, ornata da una cornice di archetti pensili, caratteristici del linguaggio romanico; la facciata, invece, risistemata in epoca successiva, non porta memoria del passato medievale.

In posizione disassata rispetto alla chiesa, si erge la torre campanaria, sorta intorno al XII secolo. Il massiccio volume quadrangolare, rifinito agli angoli, come di consueto, con conci di pietra di ampia dimensione, è alleggerito da alcune feritoie e monofore e da un’ampia cella campanaria, nella quale era collocata una campana tardomedievale firmata da Magister Blasinus di Lugano.

Il corpo di fabbrica principale è costituito dal chiostro. Esso è collocato dietro la chiesa – la cui abside venne parzialmente inglobata nel perimetro del chiostro stesso – e risulta orientato su un asse lievemente diverso, formando un quadrilatero irregolare. Appare citato per la prima volta nel 1202, in un’epoca assai florida nella storia del priorato: la sua costruzione, protrattasi per alcuni anni, come suggerito dalle lievi differenze stilistiche, doveva essere assai recente. Basandosi sui caratteri architettonici dei diversi lati si può presumere che la costruzione sia cominciata da quello occidentale – che presenta stilemi più arcaici – proseguendo con quelli meridionale e orientale, per concludersi con il lato settentrionale, che si mostra più progredito, nell’uso del cotto e degli archi a tutto sesto, in sostituzione della trabeazione.

La costruzione del chiostro è legata allo scultore locale Lanfranco da Ligurno, vissuto alle fine del XII secolo e impegnato anche nel cantiere della chiesa di S. Maria del Monte a Velate. La sua firma, infatti, compare su un capitello del lato orientale accompagnata dal termine “magister”, particolare che induce a ritenerlo il progettista dell’intero chiostro. I capitelli sono caratterizzati da una grande varietà di forme e decorazioni – che spaziano dalle tipologie più elementari ad altre di tipo complesso, con motivi geometrici, stilizzazioni del mondo vegetale, protomi umane o animali, esseri fantastici – anche se nel complesso si possono ricondurre ad una matrice unica, risalente al tardo romanico lombardo e alla versione che ne diedero i Maestri Comacini.

La comunità monastica insediata a Voltorre osservava la Regola di San Benedetto ed era governata da un priore nominato dagli Abati di Fruttuaria, che ne controllavano e regolavano, oltre alla vita religiosa, l’attività economica e amministrativa. I priori di Voltorre rivestirono per oltre un secolo e mezzo un ruolo rilevante nella zona, compiendo per conto degli abati visite periodiche ai monasteri soggetti, per giudicare, sanzionare, ricevere giuramenti di obbedienza e riscuotere i censi. Nella prima metà del XIII secolo, all’apice della sua storia, la comunità era piuttosto numerosa, composta da oltre venti persone tra monaci e conversi (laici impegnati a lavorare per il monastero). In seguito il numero cominciò a diminuire, finché alcuni documenti del XV secolo rivelano che la comunità non superava ormai i due o tre membri.

Nel 1333 l’assegnazione in commenda – il commendatario era estraneo alla vita monastica e non risiedeva in loco – del priorato di Voltorre segnò, come di consueto, la sua lenta decadenza. Il commendatario Alessandro Sforza lo cedette così, nel 1519, al pontefice Leone IX, che a sua volta lo attribuì ai Canonici Lateranensi – un ordine di chierici che osservava la regola agostiniana – di Santa Maria della Passione, i quali trasformarono Voltorre in una vera e propria azienda agricola. La loro gestione portò a Voltorre rinnovato vigore: in particolare, grazie all’opera del canonico Raffaele Appiani, ricordata da un’epigrafe del 1640, furono messe in opera svariate sistemazioni, tra cui quelle del terreno digradante verso il lago e della corte rurale, che fu estesa intorno agli edifici del monastero, per meglio supportare la funzione ormai preponderante del complesso. Tra Seicento e Settecento venne inoltre ristrutturata la chiesa, che fu sopraelevata, ingrandita con l’aggiunta di una cappella e dotata di una nuova facciata e di un apparato decorativo barocco.

Nel 1798, nell’ambito della politica d’espropriazione dei beni appartenenti ai latifondi monastici, il governo francese tolse il beneficio ecclesiastico, mettendo in vendita il chiostro e gran parte degli edifici circostanti. Gli atti catastali degli anni successivi evidenziano un continuo frazionamento del complesso, che perde completamente la sua unitarietà, diventando residenza rurale e deposito di attrezzi agricoli di privati cittadini.

Verso la fine del XIX secolo si cominciò a comprendere il valore dell’intero complesso e alla sorte di Voltorre si interessarono numerosi esponenti del mondo della cultura, dall’architetto Luca Beltrami al pittore Luigi Conconi, allo scultore Ludovico Pogliaghi, i quali si adoperarono per avviare una campagna di restauri. Cominciarono così nei primi anni del Novecento numerose trattative tra la Soprintendenza e i proprietari delle varie porzioni del chiostro, per eseguire opere di manutenzione. Nell’ottobre del 1913, però, a causa di un improvviso incendio che provocò gravi danni alle strutture claustrali e la distruzione di parte dei capitelli e delle colonnine, le trattative si interruppero, per riprendere nel dopoguerra, quando lo Stato riuscì finalmente ad acquistare una parte del chiostro e, nel 1929, a cominciarne il restauro. Nel 1954 la Provincia di Varese comprò una parte del monumento e nel 1978 entrò in possesso della restante porzione, grazie all’affidamento della quota appartenente al Demanio.

Oggi il chiostro, completamente restaurato, è sede di attività culturali ed espositive legate alla sua storia e all’arte contemporanea.

FONTE: Provincia di Varese

FOTOGRAFIA: Alberto Lavit